Abstract
Argomento spinoso è quello della motivazione degli atti catastali.
Le ragioni risiedono nella indiscriminata ed immotivata applicazione di strumenti informatici – come oggi confezionati – che implica che lo stesso funzionario, il quale effettua la «messa in atti» della qualificazione, classamento o rendita, ignori come si sia pervenuti a quelle conclusioni.
L'articolo ne esamina in maniera approfondita gli elementi fondamentali della motivazione e dell’accertamento degli estimi catastali e del provvedimento di rilassamento.
1. Premessa
Come anticipato, la motivazione degli atti catastali e' Argomento spinoso, le ragioni risiedono nella indiscriminata ed immotivata applicazione di strumenti informatici.
Questi implicano che lo stesso funzionario, che effettua la «messa in atti» della qualificazione, classamento o rendita, ignori come si sia pervenuti a quelle conclusioni.
Inoltre, lo strumento informatico non è stato confezionato in modo da fornire una motivazione razionale.
In fatto, gli atti catastali recano, spacciandola per motivazione, l’apodittica affermazione secondo cui le conclusioni raggiunte «corrispondono alle caratteristiche intrinseche ed estrinseche dell’immobile», così riproducendo testualmente il tenore dell’art. 8, co. 1 R.D.L. 1939, n. 652.
Si tratta in realtà di una mera tautologia: le conclusioni sono quelle ... perché sono quelle!, e tutto ciò non è conforme agli artt. 7, co. 1 lg. 27/7/2000, n. 212 e 3 lg. 7/8/1990, n. 241 che al contrario, impongono la motivazione degli atti.
La conseguenza di questa scelta e' che un’impugnazione degli atti catastali in quanto carenti di motivazione è irrimediabilmente, sempre fondata.
Non va inoltre tralasciato che l’obbligo di motivazione si ribalta anche sul Comune quando questo notifica l’avviso ICI, basato sull’attribuzione di una maggior rendita, questo in ragione dell’art.11, come interpretato dalla sentenza 2004, n. 24235, che dichiarava la natura costitutiva all’attribuzione di rendita, alla luce della normativa vigente.
Al contrario, è pacifico che l’attribuzione di una rendita avvenuta in un secondo tempo, costituisce il recepimento di variazioni denunciate dall’esecutore-proprietario anni prima, pertanto appare intuitivamente difficile attribuire valore costitutivo all’attribuzione della rendita stessa e non valore ricognitivo-dichiarativo delle variazioni intervenute da tempo.
Il dato normativo il quale, come si esprime il precedente trattato nel giudizio di cassazione n. 24235.04, appare dimostrare la natura dichiarativa e non costituiva dell’attribuzione di rendita.
Si fa notare, come proprio dal testo dell’art. 11 comma 1, avvenuta e comunicata la nuova rendita, il comune provvede al recupero della maggiore ICI dovuta senza applicazione delle sanzioni; ovvero al rimborso dell’imposta versata in eccesso con interessi.
Questo equivale a dire che la rendita, una volta determinata, fa retroagire i suoi effetti alla data della richiesta e quindi ha natura dichiarativa e comunque effetto retroattivo» (cfr. CASS. CIV. sez. V, 9 marzo 2005, n. 5109, in motivazione; conformi CASS. CIV. sez. V, 9 marzo 2005, n. 5109; sez. V, 9 giugno 2005, n. 12156).
Emerge dunque che «Il comune emette avviso di liquidazione, con l’indicazione dei criteri adottati, dell’imposta o maggiore imposta dovuta e delle sanzioni ed interessi dovuti;...».
Ora è palese che i criteri adottati non possono essere il mero riferimento ad un immotivato atto di attribuzione di rendita, perché in tal modo – come nel gioco delle tre carte – ci si farebbe beffe del principio normativo di motivazione.
Resta ferma la legittimità di una motivazione per relationem.
All’avviso I.C.I. dovrebbe essere pertanto unito un atto di attribuzione della maggior rendita adeguatamente motivato, ex art. 7, co. 1 lg. 27/2/2000, n. 212.
Ove un tale atto non esista, sarà il Comune, ormai cogestore del catasto, a doversi assumere l’onere della motivazione ab intrinseco, dal momento che si tratta pur sempre dei fatti costitutivi – spesso: dell’unico fatto costitutivo – della pretesa tributaria azionata” (cfr. Converso A., Il catasto: criteri di valutazione, classamento, rendite e la controversia catastale, in www.corsomagistratitributari.unimi.it., pp. 309-310).
2. La motivazione dell’accertamento degli estimi catastali e del provvedimento di rilassamento
In tema di estimo catastale, qualora il nuovo classamento sia stato adottato ai sensi dell’art. 1, comma 335, della l. n. 311 del 2004 nell’ambito di una revisione dei parametri catastali della microzona nella quale l’immobile è situato, giustificata dal significativo scostamento del rapporto tra il valore di mercato ed il valore catastale rispetto all’analogo rapporto sussistente nell’insieme delle microzone comunali, il provvedimento di riclassamento, atteso il carattere diffuso dell’operazione, deve essere adeguatamente motivato in merito agli elementi che, in concreto, hanno inciso sul diverso classamento della singola unità immobiliare, in modo che il contribuente sia posto in condizione di conoscere le ragioni che ne giustificano l’emanazione.
3. Le ipotesi di revisione del classamento di un immobile
Il nostro ordinamento catastale prevede tre ipotesi di revisione del classamento di un immobile urbano su iniziativa dell'amministrazione comunale:
La prima è quella prevista dalla legge n. 662 del 1996, art. 3, comma 58, secondo cui il Comune può chiedere l'intervento dell'Agenzia delle Entrate per ottenere la revisione del classamento di un immobile, sia quando il classamento stesso risulti non aggiornato sia quando esso risulti palesemente non congruo rispetto a fabbricati similari e aventi medesime caratteristiche.
La seconda ipotesi è quella prevista dall'articolo 1, comma 336, della legge 311 del 2004 e riguarda il classamento di immobili non dichiarati ovvero di immobili che abbiano subito variazioni edilizie non denunziate.
La terza ipotesi è prevista dal comma 335 del medesimo articolo 1 della legge 311 del 2004, che così dispone: "La revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di proprietà privata site in microzone comunali, per le quali il rapporto tra il valore medio di mercato individuato ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 138 (in realtà tale regolamento non fornisce prescrizioni idonee a stabilire le modalità di rilevazione e di determinazione dei valori medi di mercato, neppure attraverso il richiamo agli articoli da 145 a 26 del regolamento approvato con D.P.R. 1142 del 1949), e il corrispondente valore medio catastale ai fini dell'applicazione dell'imposta comunale sugli immobili si discosta significativamente dall'analogo rapporto relativo all'insieme delle microzone comunali, è richiesta dai comuni agli Uffici provinciali dell'Agenzia del territorio.
Per i calcoli di cui al precedente periodo, il valore medio di mercato è aggiornato secondo le modalità stabilite con il provvedimento di cui al comma 339 (il comma 339, in realtà, riguarda il provvedimento del direttore dell'Agenzia delle Entrate con cui sono stabilite le modalità tecniche e operative per l'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 336 e 337: nulla quindi che interessi l'aggiornamento dei valori medi di mercato.
Tale incongruenza testuale aggiunge un elemento di ulteriore difficoltà al già non agevole compito di interpretare con precisione la norma per quanto riguarda la definizione ed il calcolo dei suoi parametri numerici e quindi, in definitiva, per quanto riguarda la definizione e l'accertamento dei presupposti per l'applicazione di essa.
4. In conclusione
L'Agenzia del Territorio, esaminata la richiesta del comune e verificata la sussistenza dei presupposti, attiva il procedimento revisionale con provvedimento del direttore dell'Agenzia medesima, ed e' necessario sottolineare, che le tre ipotesi di revisione del classamento sono, tra loro, distinte ed hanno presupposti, condizioni e procedure diverse.
Ne consegue che, se l'amministrazione ha fatto ricorso ad una di tali ipotesi, non può poi, nel corso del giudizio, legittimare la sua pretesa invocando condizioni e fattori che non siano rilevanti per la specifica procedura di revisione intrapresa, anche se essi siano in ipotesi idonei a giustificare la revisione del classamento nel quadro di una procedura diversa.
In definitiva, le causae petendi delle tre diverse ipotesi di revisione non sono interscambiabili tra di loro e non possono essere sostituite in itinere.
In questa prospettiva è stato infatti affermato che l'attribuzione d'ufficio di un nuovo riclassamento impone all'amministrazione di specificare in modo chiaro nell'avviso di accertamento le ragioni della modifica senza alcuna possibilità per l'Ufficio di addurre, in giudizio, cause diverse rispetto a quelle enunciate nell'atto nell'evidente fine di delimitare l'oggetto dell'eventuale giudizio contenzioso (cfr. Cass. 2017 n. 22900).
Con riferimento a ciascuna delle tre ipotesi di revisione del classamento sopra indicate la Corte di Cassazione ha avuto più volte modo di enunciare la regola della necessità di una rigorosa e cioè completa, specifica e razionale motivazione dell'atto di riclassamento.
Ma questa esigenza di rigore e di specificità si pone anche nel senso della illegittimità di improprie commistioni tra i profili motivazionali funzionali ad un tipo di riclassamento con quelli invece collegabili a riclassamenti di tipo diverso.
Va in particolare considerato, a tal riguardo, che, mentre le prime due delle tre suddette ipotesi di revisione del classamento dipendono da e debbono quindi essere motivate con riferimento a fattori intrinseci specificamente riguardanti il singolo immobile considerato, la terza ipotesi prevede, invece, un riclassamento dovuto, almeno in via principale, a fattori estrinseci di carattere per così dire generale o collettivo cfr. Villani M., La motivazione degli avvisi di accertamento degli estimi catastali, www.diritto.it.
E’ appena il caso di ricordare che l’istituto della motivazione degli atti amministrativi, o meglio dell’obbligo di motivazione dei medesimi, da sempre molto dibattuto in dottrina (Sul punto si vedano le illuminanti considerazioni svolte da: Giannini, Motivazione dell’atto amministrativo, in Enc. dir. XXVII, Milano, 1977, 257; Mazzarelli, Motivazione dell’atto amministrativo, in Enc. giur. XX, Roma, 1990; Jaccarino, Motivazione degli atti amministrativi, in Noviss. dig. it., X, Torino, 1962; Romano Tassone, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, Milano, 1987) e in giurisprudenza, ha ricevuto, a partire dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 (meglio nota come legge sul procedimento amministrativo), un generale riconoscimento legislativo, la cui portata innovativa è stata tale da determinare una profonda modificazione delle regole che governano lo svolgimento dell’attività dei pubblici poteri e dei rapporti intercorrenti tra il singolo cittadino e le pubbliche amministrazioni.
La legge 7 agosto 1990, n. 241, assume dunque una fondamentale importanza in relazione alla trasparenza amministrativa e alla difesa della tutela giurisdizionale del cittadino.
Tra i principi rinvenibili in essa, vi è anche quello dell’avvicinamento della pubblica amministrazione al cittadino, individuabile nella previsione dell’obbligo di motivazione e nella evidenziazione obbligatoria dei mezzi e delle modalità di tutela esperibili dal cittadino nei confronti di un atto emanato dalla stessa.
Circa l’importanza della legge 7 agosto 1990, n. 241, ai fini di una riformulazione su basi nuove dei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini (cfr. Patrizi – Marini, La motivazione degli atti emessi dall’amministrazione finanziaria, in Il fisco, 2000, 12134).
L’attribuzione della rendita deve essere diversamente motivata dall’Agenzia del Territorio a seconda che si tratti di unità immobiliare destinata ad abitazione ovvero d’immobile adibito a destinazione speciale o particolare.
La motivazione del riclassamento è volta a far conoscere al destinatario gli elementi posti a fondamento dell’atto assunto e deve dare adeguato conto dei «presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione» (cfr. art. 7, l. 2000, n. 212).
Nell’ipotesi di attribuzione di rendita catastale ad un’unità abitativa, la motivazione deve indicare i dati fattuali che hanno portato a ricomprendere l’unità nella categoria, classe o zona censuaria assegnata, così spiegando l’attribuzione di una tariffa d’estimo piuttosto che di un’altra, ed esplicitare le operazioni effettuate.
Quando si tratta di unità immobiliari destinate ad usi speciali (ex cat. D) o particolari (ex cat. E), l’Agenzia del Territorio deve indicare i dati di comparazione, tratti dagli atti traslativi registrati nel periodo considerato, per immobili analoghi, nella zona interessata.
In difetto, deve enucleare le caratteristiche tipologiche che hanno fondato la stima.
Del resto, il privato inciso deve avere la possibilità, in conseguenza dell’inversione dell’onere della prova disposta a suo carico e della materiale invasione della sua sfera giuridica operata dalla pubblica amministrazione, di ricostruire tutti i passaggi e tutte le fasi procedimentali attraverso le quali si è formato l’atto amministrativo, nonché conoscere le motivazioni che stanno alla base della sua emanazione, allo scopo di poter sindacare la conformità di questo alle norme giuridiche e quindi, in ultima analisi, la sua legittimità “Solo attraverso l’indagine sui motivi che hanno determinato l’adozione dell’atto amministrativo è possibile verificare la corrispondenza fra lo scopo in concreto perseguito ed il fine astratto previsto dalla norma, e quindi la legittimità dell’atto”.
Così Lorenzi, Statuto del contribuente, in Atti del Convegno di Studi di Perugina del 10 marzo 2001. “Il potere assegnato in astratto dalla legge (alla pubblica amministrazione) diventa attuale nella singola concreta fattispecie in quanto esistono i presupposti di fatto e di diritto che la motivazione individua, esplicita e rende conoscibili, consentendo così il controllo sulla legittimità dell’attività amministrativa svolta”. Vedi pure Falcone, L’obbligo della motivazione nell’accertamento tributario, in Il fisco, 2002, 1 ss.).
In altre parole, la motivazione dell’atto amministrativo, e, nella specie dell’avviso di accertamento catastale, essendo diretta ad assicurare il controllo giurisdizionale sulla legittimità formale delle determinazioni assunte dai detentori dei pubblici poteri, rappresenta un’insopprimibile garanzia di tutela della sfera giuridica dei cittadini (cfr. Maruccio g., La motivazione dell’avviso di accertamento tributario - Nota a sentenza n. 312/1/99 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio del10 gennaio 2000 Sezione I- in Massimario di giurisprudenza giurisprudenza tributaria edito dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio - Ministero delle Finanze - Roma 2001).
“Il vizio di motivazione comporta la illegittimità dell’atto a prescindere dalla eventuale fondatezza della pretesa; più esattamente, il giudizio sul rispetto dell’obbligo di motivazione si pone in via pregiudiziale rispetto all’esame del merito del provvedimento, che rimane semplicemente precluso laddove l’atto sia privo di uno degli elementi (quale la motivazione) che la legge prescrive come requisiti per la sua legittimità formale” (cfr. Maruccio g., op. cit.).
La dottrina non ha mancato di sottolineare che la motivazione dell’atto amministrativo, accanto alla fondamentale funzione di parametro al quale ancorare la legittimità dell’atto stesso, è in grado di adempiere altre due funzioni, alla prima pur sempre intimamente collegate: agevolare l’interpretazione del provvedimento amministrativo; garantire la trasparenza dell’azione amministrativa.
Tali considerazioni si trovano esposte in: Giannini, Motivazione dell’atto amministrativo, cit.; Romano Tassone, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, cit.; Virga, Diritto amministrativo II, Atti e ricorsi, Milano, 1995, 56; Galatea – Stipo, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 1994, 276; Acquarone, Attività amministrativa e provvedimenti amministrativi, cit., 140; Casetta, Provvedimento e atto amministrativo, in Dig. disc. pubbl. XII, Torino, 1996, 255 ss.). Maruccio, La motivazione dell’avviso di accertamento di valore: nota a sentenza - in TRIBUTI, edita dal Ministero delle Finanze, n. 7/8 - Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1982.
Giova al riguardo precisare che, mai come nella fattispecie in esame, e’ obbligatorio che controparte motivi la propria risposta, argomentando tale motivazione in modo logico, comprensibile e omettendo di rispondere in via amministrativa rinviando a quanto andra’ ad esporre avanti il Giudice tributario, senza, nella sostanza dei fatti, evidenziare da dove promana la ragione giuridica dalla stessa addotta e che la legittimi ad omettere quanto richiesto da parte ricorrente (cfr. Maruccio G., La motivazione dell’avviso di accertamento di valore: nota a sentenza - in TRIBUTI, edita dal Ministero delle Finanze, n. 7/8 - Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1982).
Da sottolineare con apprezzamento positivo è, inoltre, l’estensione del principio della chiarezza agli atti dei concessionari della riscossione (al concessionario della riscossione si applicano inoltre, per espresso richiamo disposto dall’art. 17 dello Statuto dei diritti del contribuente, anche le altre norme dello Statuto medesimo), i quali, da sempre e per definizione, hanno rappresentato un prototipo di ermetismo.
In conclusione, la motivazione del provvedimento di riclassamento non può limitarsi a indicare un quantum, ma deve illustrare le ragioni della mutata condizione dell’immobile, individuandone l’origine, ossia le trasformazioni intrinseche, gli interventi che hanno inciso sulla quantificazione della rendita catastale e i provvedimenti di modifica dei parametri della microzona di riferimento (cfr. Cass. civ., Sez. VI, 3 febbraio 2014, n. 2357, in Il fisco, 2014, p. 981).
L’obbligo di motivazione negli accertamenti catastali è particolarmente rigido e occorre che l’ufficio lo rispetti puntualmente.
In particolare, la sola precisazione della posizione dell’immobile all’interno dell’area censuaria e della microzona non equivale alla valutazione delle intrinseche caratteristiche edilizie delle unità immobiliari, atteso che il fattore posizionale è diverso dal fattore edilizio, che ha ad oggetto le condizioni del fabbricato che rilevano ai fini del classamento.
5. La recente giurisprudenza
Di recente la giurisprudenza della suprema Corte di Cassazione n. 6801, depositata l’11 marzo 2020.ha raggiunto le medesime conclusioni ed ha indicato i criteri da seguire per procedere alla rideterminazione del classamento delle unità immobiliari, e gli elementi che l’atto di dovrà indicare per ritenersi adeguatamente motivato.
5.1. La vicenda processuale:
Un contribuente aveva impugnato un avviso di accertamento di revisione del classamento e di attribuzione di nuova rendita catastale per due immobili di sua proprietà, l’Agenzia del territorio aveva emesso tale atto a seguito di una verifica effettuata su unità immobiliari ubicate in microzone che presentavano un significativo scostamento tra i valori come indicati nella l. 311/2004.
Il ricorso del contribuente accolto in Commissione Tributaria Provinciale, veniva respinto in sede di appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale, con condeguente conferma dell’atto di riclassamento per uno dei due immobili, mentre veniva annullato l’atto relativo ad altro immobile per mancanza di motivazione, in merito al passaggio dell’immobile ad altra categoria catastale (da A/4 ad A/2).
L’Agenzia proponeva ricorso per Cassazione ritenendo la decisione della CTR errata in quanto riteneva non adeguatamente motivato l’atto, invece, secondo l’ufficio, debitamente giustificato dalla circostanza che interventi di riqualificazione delle viabilità e dell’arredo urbano, nonché degli edifici ricompresi nella microzona, avevano comportato un aumento del valore (i precedenti facevano riferimento al periodo 1988-89, in un contesto urbano totalmente diverso da quello attuale).
Inoltre, sempre secondo l’Agenzia, la Commissione Tributaria Regionale aveva erroneamente ritenuto che l’atto dovesse in ogni caso tener conto, nella motivazione, del “fattore edilizio”, e degli eventuali interventi di ristrutturazione sull’immobile.
5.2. La sentenza:
La Corte di Cassazione nella propria decisione parte dall’inquadramento della fattispecie nel più generale impianto normativo della materia fornito dal D.P.R. 23.03.1998 n. 138 il quale fornisce una definizione di zona censuaria, microzona, i criteri per la modifica della delimitazione di quest’ultima, per la revisione delle tariffe d’estimo, e le modalità di classamento delle unità immobiliari, con assegnazione ad ognuna di esse di categoria e classe (la sola categoria per le unità immobiliari a destinazione speciale).
In conseguenza di ciò, prosegue la Corte, “La revisione del classamento delle unità immobiliari è dunque correlato in primo luogo alla individuazione della microzona, la quale individua ambiti territoriali di mercato omogeneo sul piano dei redditi e dei valori all’incidenza su tali entità delle caratteristiche ad esso estrinseche (da individuarsi nei caratteri di posizione, urbanistici, storico-ambientali, socioeconomici, nonché nella dotazione dei servizi ed infrastrutture urbane) (d.p.r. n. 138 del 1998, art. 1).”
Inoltre, per determinare categoria e classe dell’unità immobiliare deve sempre tenersi conto del “fattore edilizio”, in quanto il valore di mercato rilevante da cui origina il procedimento di riclassamento (ai sensi dell’art. 1 comma 335 legge 311/04) è quello relativo alla microzona, e non al singolo immobile, e pertanto per applicare a questo il nuovo classamento e la nuova rendita dovrà farsi riferimento proprio alle caratteristiche edilizie del fabbricato.
Un atto di questa tipologia, come ogni atto amministrativo e fiscale, deve contenere la propria motivazione, e per questo la Cassazione specifica come nel caso oggetto della controversia l’atto con il quale veniva attribuita una nuova rendita catastale ed una nuova categoria all’immobile doveva indicare in che modo il mutato rapporto dei valori (quello di mercato ed il valore catastale) delle microzone abbia inciso in maniera diretta sull’unità immobiliare.
L’atto impugnato dal contribuente non si è attenuto in alcun modo né ai principi fondamentali di motivazione degli atti amministrativi né fa alcun riferimento alle disposizioni dell’art.1 comma 335 già citato, apprestandosi da parte del fisco, secondo quanto scrive la Corte nella sentenza, un compendio motivazionale affidato a formule stereotipate e di stile, se non meramente riproduttive di precetti normativi.
Settembre 2020
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